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Design, beni culturali immateriali e “attivazione dell’autentico”:
progettare il valore delle eredità culturali come
“open-ended knowledge system”


Eleonora Lupo*

 

 

1. I processi di design per i beni culturali:
dalla valorizzazione all’attivazione

 

Quando si parla di design per i beni culturali, più che di competenze di design e ambito di applicazione del progetto, è opportuno parlare di processi di design per i beni culturali. In questa visione, la valorizzazione dei beni culturali può essere vista come un insieme di processi di design (Lupo 2009).
In un ideale ciclo di vita del bene culturale, materiale o immateriale (Lupo 2009), che proponiamo come lineare (si noti che questa semplificazione viene attuata solo come artificio retorico ed espediente comunicativo) si ha all’inizio un bene culturale ancora potenziale (che non esiste in quanto non ha forma), che si concretizza in forme di bene e che, quando è collettivamente socializzato riconosciuto, diventa bene esplicito, e quindi successivamente bene fruito o attivato da una comunità nel momento in cui se ne ‘appropria’ o vi partecipa in varie forme. Nel passaggio da uno stadio all’altro si verificano dei processi che sono chiamati rispettivamente di produzione (della forma) bene culturale, riconoscimento (del senso) del bene culturale e di attivazione (della funzione) del bene culturale (2).

 

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Figura 1. Processi di design per i beni culturali (Lupo)

 

Tutti questi processi sono progettabili attraverso un approccio innovativo guidato dal design. In parallelo abbiamo quindi, da una parte la filiera della generazione delle eredità culturali, dall’altra la filiera dei processi progettuali di valorizzazione dei beni culturali: la nostra tesi è che queste filiere tendano ad essere più sfumate e coincidenti, quasi una ‘doppia elica’ genetica del patrimonio culturale, laddove una deliberata azione progettuale è anche un’azione di generazione di eredità culturali.

Altrove (Lupo 2009) abbiamo discusso dei più istituzionali processi di riconoscimento del bene culturale. Sono tutte quelle azioni, dagli studi alle ricerche alle attività di curatela che operano una legittimazione del valore culturale di un bene , altrimenti detti in sociologia processi di ‘singolarizzazione’ (Kopytoff 1986, Volontè 2001, Heinich 2001) e che non hanno però come fine principale quello di rendere accessibile e fruibile il patrimonio stesso, anche se in realtà poi questo ne è l’effetto indiretto: azioni progettuali legate ad esempio all’archiviazione e catalogazione di beni, sono interventi che oltre a costituire un processo di elezione e selezione e quindi di riconoscimento del valore del bene, sono sinergici ai processi di organizzazione e accessibilità.

In questa sede tuttavia ci preme invece concentrarci e sottolineare l’importanza strategica dei processi di attivazione dei beni culturali (Lupo 2008), e della loro stretta correlazione con la dimensione della loro produzione e riproduzione elemento quest’ultimo che rende la doppia filiera una sorta di processo ciclico ricorsivo e virtuoso di ri-generazione del patrimonio culturale.

I processi di attivazione, infatti, sono eminentemente di due tipi: da una parte, vi è un approccio legato a potenziare la fruizione, in termini di accessibilità e comprensibilità del bene, attraverso l’esperienza diretta o indiretta di una comunità o di singoli individui; dall’altro un approccio che mira a riprodurre, diffondere e trasmettere il bene culturale attraverso una azione di ri-contestualizzazione e riuso, in particolare incorporando le sue caratteristiche in nuovi beni. Proprio questa ultima sfumatura, ossia di incorporazione in nuovi contesti, contempla quella natura evolutiva del patrimonio culturale immateriale e quindi ciò che definiamo potenziale di innovazione del patrimonio culturale immateriale.


 

2. Le eredità culturali e la loro evoluzione:
dalla generazione delle eredità allo sviluppo

 

Sebbene il patrimonio culturale sia un insieme inscindibile di beni materiali ed immateriali, tradizionalmente è la parte materiale (opere e oggetti d'arte, monumenti, architetture) quella più soggetta a strategie e processi di conservazione, valorizzazione, comunicazione e promozione. Sempre più tuttavia il patrimonio materiale serve a richiamare la parte immateriale costituita da saperi, tecniche, processi, significati e valori. In virtù di questa convergenza, il design per i beni culturali trova fertile applicazione nell’ambito del patrimonio immateriale e del suo potenziale di innovazione.
Le eredità immateriali possono essere ‘raccontate’ attraverso la metafora dei saperi tipici (Lupo 2008), ovvero una forma di creatività incorporata e quindi “ri-producibile” nelle persone e nei luoghi: «as repertoire, is always embodied and is always manifested in performance, in action, in doing» (Kirshenblatt Gimblett 2004):

_saperi produttivi (produzione artigianale, eno-gastronomia, saper fare tecnico-scientifico)
_saperi relazionali (celebrazioni, riti, manifestazioni e feste popolari e religiose)
_saperi riproduttivi (arte, musica, espressioni teatrali, linguaggio).

 

In questa narrazione è necessario individuare il protagonista principale che è il detentore del sapere tipico (sia esso un individuo o una collettività) definibile come bene culturale vivente o living human treasure (così come definito dall’UNESCO).

Per loro natura, gli aspetti immateriali necessitano di essere continuamente ricreati, performati e socializzati per essere trasmessi e ciò ha posto in discussione le strategie conservative di tipo esclusivamente museografico. Una tecnica ad esempio, per quanto si sostanzi in oggetti fisici, ha una natura di tipo processuale, che spesso non si concretizza in forme oggettuali: dove si riesce a conservare il prodotto di questo sapere (ad esempio un manufatto artigianale) vengono inevitabilmente perdute le conoscenze, altrettanto importanti, relative al processo, cioè performances, tecniche, abilità manuali, contesto.

Un altro aspetto particolarmente delicato è che ri-produzione di tale sapere (necessaria alla sua trasmissione) avviene sempre in maniera situata, quindi interagente col contesto, e con le sue dinamiche contemporanee di scambio, produzione e fruizione. Questo pone in essere una riflessione sulla natura intrinsecamente evolutiva del patrimonio culturale immateriale e della sua trasformazione durante i processi di ri-produzione ed appropriazione. Ad esempio la relazione con il suo contesto è funzionale all’esistenza di un saper fare produttivo, che sopravvive fino a quando tali relazioni sono attive e significative: quando il contesto o la tecnica stessa si evolve e modifica, o il sapere viene ‘delocalizzato’, se esso non è in grado di rielaborarsi o ‘rappresentarsi’ nel nuovo contesto (conservando le sue tipicità ma integrandosi nel nuovo sistema culturale, cognitivo attraverso nuove modalità, funzioni ed usi etc.) è destinato a diventare marginale o a perdere di significato e comprensibilità e scomparire. Esempio emblematico di tale processo di ri-contestualizzazione è l’applicazione delle tecniche della lavorazione e dell’intaglio e incastro del legno dalla costruzione di navi e imbarcazioni all’edificazione di chiese nella cultura nordica, che riprende e traferisce elementi e referenze non solo di tipo processuale ma anche formale e decorativo, nel momento in cui l’esplorazione via mare connosce un fase di declino.

Tale processo è soggetto a cicli di evoluzione storicamente determinati, ma può essere anche progettato o accelerato: il progetto interviene attraverso la creazione di nuove connessioni generando una ‘cornice’ di significati dove tali beni possono essere attivati, dinamizzati e rinnovati in continuità, e messi in grado di dialogare (attraverso forme e numeri di relazioni sostenibili) con i contesti globalizzati del mondo contemporaneo richiede, esplicitando sostanzialmente il loro potenziale di innovazione. In particolare, adeguati e sostenibili processi di territorializzazione (relazioni orizzontali che il sapere costruisce e intrattiene con altri beni e la comunità) e contestualizzazione di un sapere (relazione verticale che il sapere deriva dal contesto in cui è stato generato e sviluppato e che genera senso e valore, nonchè la sua comprensione) possono essere eplicitati, ricostruiti o progettati ex-novo, per permettere la sopravvivenza del sapere immateriale, attraverso la rielaborazione del significato collettivo e la produzione di nuovo valore e di possibilità di riuso. Chiamiamo questo ultimo processo di attivazione del sapere in termini di potenziamento della fruizione e sua riproduzione contemporanea.

Si tratta quindi di un processo delicato di valorizzazione e traduzione di una tradizione in cui è necessario dare autonomia anche alla cultura immateriale, che può divenire strumento di produzione e soprattutto di mediazione di nuova conoscenza e progettualità. In questo quadro dunque i beni culturali vengono considerati come un sistema culturale integrato, ricco di elementi materiali e immateriali che costruiscono continui rimandi, da esplicitare e valorizzare.

 


3. Il design e la ‘traduzione della tradizione’:
il valore d’uso (o potenziale di attivazione) delle eredità culturali
e i processi di design

 

Se i beni culturali sono il risultato di relazioni sociali e accrescono il loro valore quanto più sono riconosciuti, socializzati e incorporati, nella coscienza collettiva di una comunità, ossia ‘praticati’ nel loro valore d’uso (Lupo 2009) e conseguentemente alla evoluzione del significato del bene culturale da bene di appartenenza o di merito (di cui viene colto il valore in sé, secondo una concezione tipicamente patrimoniale) a bene di fruizione (di cui viene riconosciuto un primario valore d’uso) (Salvemini 2005) ci si è spostati dal considerare il valore in sé dei beni verso modelli in cui il design progetta il valore del bene come sistema e come esperienza (Lupo 2009) è possibile immaginare che “il valore non è una qualità tecnica incorporata in forme e processi, ma nel modo in cui esse si integrano nello stile di vita contemporaneo” e ha quindi a che fare con l’uso e non solo l’esistenza (Montella 2009).

Questo ci porta a considerare come il potenziale di innovazione delle eredità culturali sia strettamente legato con la capacità progettuale di considerare il patrimonio culturale come materia prima della creatività e come piattaforma per l’innovazione e produzione culturale del sistema città- impresa, oltre che fattore di identità e riconoscibilità competitiva all’interno di una visione community centred e culture based di design e sviluppo (Cianciullo/Realacci 2005). In questo quadro solo il valore d’uso è reale e realmente efficace per la sopravvivenza dei beni e in grado di potenziare la ‘filiera dei beni culturali’ tanto competitiva per il made in Italy, ossia quell’aggregato di produttori e utilizzatori di che intervengono nelle varie fasi del ciclo di vita dei beni culturali, dalla conoscenza alla conservazione, gestione economica, messa in sicurezza e fruizione (Santagata 2007, Granelli 2008).

In questa cornice il valore d’uso del patrimonio culturale non viene inteso come semplice progetto della fruizione, ovvero abilitazione all’accesso, appropriazione, comprensione ed esperienza del bene da parte di una comunità finale di utenti (ovviamente di fondamentale importanza), ma come possibilità effettiva di uso, riuso e trasformazione del patrimonio per i vari stakeholders e utenti finali. Il patrimonio culturale, e in particolare quello immateriale, viene considerato e deve essere proposto e reso accessibile come un “open ended knowledge system” (Sennet 2010), ovvero un repertorio ‘aperto’ di conoscenza (forme e processi) e contenuti culturali utilizzabili come strumenti di costruzione della memoria collettiva (come tradizionalmente avviene) ma anche e soprattutto come risorse per la produzione di nuove forme e contenuti culturali.

Termini come ri-uso, traduzione, incorporazione, attivazione, attualizzazione, ri-contestulizzazione, etc. etc. possono essere isolati per definire dei processi innovativi e replicabili, guidati dal design, di generazione del valore incorporando il suo valore utilità nei modi di vita contemporanei e indagando le questioni dell’autenticità, tipicità e produzione di località (Loi 2007, MacCannel 2005), della modificabilità della percezione del valore (Dorfles 2004) e delle sue dinamiche di persistenza e trasformazione, e della categoria filosofica della profanazione come “disattivazione delle possibilità d’uso convenzionali a favore dell’attivazione di nuovi e possibili usi” (Agamben 2005) contrapposta al ‘rispetto del sacro’ (Throsby 2005).

Questo tipo di processi possono essere tanto significativi sia per gli attori intermedi della filiera, che per gli utenti finali che possono in questo modo diventare co-creatori di contenuti culturali e valore. Il tema del patrimonio immateriale in particolare, data la sua natura processuale e performativa, si dimostra particolarmente paradigmatico per esplorare la sostenibilità di questi processi di in-formazione del valore in una prospettiva evolutivo-trasformativa, in grado però di oggettificarsi in nuove forme, processi, artefatti.

In particolare all’interno di processi di ricontestualizzazione, attivazione e attualizzazione, il concetto di autenticità è emerso come nodo-critico problematico, trasposto quindi nei termini di un più progettabile processo di ‘autenticazione’, fatto di riconoscibilità (invarianti) e dinamicità (evoluzione, trasformazione) di forme e processi, attraverso modalità di attivazione ‘in continuità’, in grado di mediare tra conservazione e innovazione di linguaggi, estetiche e valori e loro incorporazione, uso e ri-uso creativo attraverso l’individuazione del potenziale di attivazione e sua attualizzazione.

 

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Figura 2. Estetiche dell’autentico:
rapporti tra tradizione e innovazione di forma e di processo (Lupo)


 

4. Estetiche di attivazione dell’autentico

 

Il paradigma dell’attivazione è proposto come fattore chiave per innescare processi di valorizzazione del patrimonio culturale nel sistema di produzione e fruizione contemporaneo.

L’attivazione è un ampliamento della parola ‘valorizzazione’, significando una serie di processi, attivabili dalle pratiche, tecniche, strategie e metodologie di design, di attivazione sostenibile del patrimonio culturale in generale. L’attivazione può essere orientata dal design sia in termini di tutela e conoscenza (ad esempio attività di design per il rilievo, rappresentazione, archivio), di valorizzazione e promozione (ad esempio attività di gestione, progetti di allestimento e comunicazione e immagine coordinata, progettazione di servizi didattici e informativi, produzione dell’immagine multimediale e video, design degli eventi, etc.) che di evoluzione e trasformazione, in altri termini .innovazione. (tutte le attività di design cultural-centred e cultural-based, ovvero la valorizzazione della cultura come risorsa e materia progettuale).

Perché si possa parlare di attivazione, il design attiva processi in cui funge da sistema di mediazione tra un contesto, un bene culturale o un sistema di beni e il fruitore o la comunità/sistema di attori di riferimento, divenendo forma di organizzazione dei beni, permettendone la legittimazione del valore, occasioni e momenti di accesso, fruizione e appropriazione differenziati, in forma diretta o mediata dalle tecnologie, e strategie di ri-contestualizzazione innovativa dello stesso valore.

Perché si possa parlare di sostenibilità, è necessario operare (o mettere in atto) in un quadro di ‘equilibrio’ dei fattori di persistenza e trasformazione del valore del bene culturale oggetto di processi di attivazione: si parla quindi di una ‘attivazione in continuità’”, in grado di mediare tra continuità e riconoscibilità (invarianti o persistenze) e trasformazioni dinamiche (tendenze evolutive) delle ‘forme’ tipiche e dei processi caratterizzanti una certa eredità culturale. In questo quadro operativo, i fattori di sostenibilità di un processo di attivazione sono: proprietà, controllo e impatto del processo e del bene culturale stesso, in un equilibrio ideale tra elementi di unicità e elementi di replicabilità che attivino il bene senza sfruttarlo e depauperarlo, svuotandolo di significato. Il concetto di proprietà definisce il coinvolgimento del detentore del bene all’interno del processo; il fattore controllo stima la capacità dello stesso di gestire e di decidere come e quando attivare il bene; il fattore impatto valuta i benefici che il proprietario riceverà indietro (direttamente o indirettamente) in seguito al processo di attivazione.
I processi di attivazione però sono diversi da azioni di semplice citazione o re-design3, in quanto sono sostanzialmente interventi di tipo trasformativo che mantengono tuttavia una coerenza con il passato, in termini di progetto di nuovi significati (contesto dove mettere in scena linguaggi, modelli e paradigmi di organizzazione e fruizione innovativi), e nuove forme di beni (ridisegno del paesaggio, di contesti e sistemi di offerta, etc.) e di generazione del valore del bene come sistema e come esperienza. Somigliano più ad azioni di re-start, ovvero di ri-avvio, in cui “oggetti, processi progettuali, modalità produttive e tradizioni sedimentate nel tempo, vengono isolati, impaginati in nuove figure, scelti e accostati creando altri contesti intorno a loro” costruendo un “alfabeto per produrre dialoghi con il presente” (Calzatrava 2008).

Tali “estetiche di attivazione” spostano il termine autentico dal concetto di identità verso forme di tipicità, originalità, esemplarità, rappresentatività, riconoscibilità e riproducibilità.

La trasformazione, può riguardare la dimensione spaziale (il luogo o il contesto del bene e della sua fruizione), temporale (lo spostamento dall’antico al contemporaneo) o processuale (tecniche, usi, significati) del bene si colloca quindi in sistema a 3 assi e dimensioni. I processi sono:


 

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Figura 3. Processi di attivazione del bene culturale (Lupo)

 

_territorializzazione, ossia, organizzazione del bene in sistemi di relazioni orizzontali con altri beni presenti nel territorio. Un bene culturale è sempre collocabile nel tempo e nello spazio. La localizzazione di un bene corrisponde ad una dimensione fisica (un luogo) cui il bene è legato e che quindi è facilmente riconoscibile: il luogo, con le sue caratteristiche, determina, attraverso dei processi di in-formazione, le specificità del bene e le sua opportunità di fruizione ma è importante soprattutto per il contenuto che determina nell’esperienza come comprensione delle origini del bene, ed in questo senso, se questa connessione risulta indebolita, occorre ricostruirne le maglie. La territorializzazione di un bene è una evoluzione del suo processo di legame con il luogo, che, da relazione verticale biunivoca, diventa sistema di relazioni orizzontali con altri beni dello stesso contesto e dà quindi conto nell’esperienza di fruizione dell’evoluzione del senso del bene: è una relazione orizzontale con gli altri beni e con le attività umane presenti nel territorio. Mentre la localizzazione di un bene è in qualche modo naturale, la territorializzazione è un atto di organizzazione e quindi oggetto di progetto.

_ricontestualizzazione: la contestualizzazione del bene culturale è un processo progettuale complesso che risiede principalmente nella deliberata ricostruzione (fisica o simbolica) di una relazione verticale tra bene e contesto, che consenta una riproduzione del suo valore: il disvelamento del legame con il suo luogo originario o la riproduzione di un nuovo luogo di esperienza e fruizione immettendo il bene culturale in un nuovo contesto. Ricontestualizzare un bene vuol dire dunque rielaborare il suo significato collettivo, per rendere possibile la produzione di nuovo valore e l’esplicitazione del suo valore d’uso. La ricontestualizzazione può avvenire sia in un nuovo contesto geo-culturale di un bene, sia in nuovo ambito tematico (di applicazione, merceologico, tipologico etc.) (Lupo/Giunta/Trocchianesi 2010, documento interno di progetto “Inspired by Beijing Opera” disponibile su).

 

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Figura 4. Processi di ricontestualizzazione tematica e geografica di un sapere/artefatto (Lupo)

 

_delocalizzazione: è un processo di ricontestualizzazione che in specifico interviene sulla trasformazione del contesto geo-culturale di un bene immettendolo in un nuovo contesto geografico. Il processo fa leva sulla necessità di costruire nel nuovo contesto geo-culturale una cornice di senso che renda comprensibile il valore del bene, privato del suo originario intorno e sistema di relazioni, in una sorta di diaspora che assuma un carattere positivo di disseminazione del patrimonio locale su scala globale.

_trasferimento: si verifica quando la ricontestualizzazione avviene da un ambito tematico o di applicazione ad un nuovo ambito tematico.

_attualizzazione: l’attualizzazione mira a rendere ‘attuale’ e quindi contemporanea la forma (dove per forma indiamo un insieme articolato di forma-funzione, forma-significato e forma-processo) di un bene e la sua dimensione di esperienza e comprensione. Lavora quindi con un approccio di traduzione della tradizione all’interno dei sistemi di valore, uso e consumo contemporanei.

_incorporazione: un approccio che, con sensibilità, mira a riprodurre, diffondere e trasmettere il bene culturale e i suoi valori attraverso una azione sostenibile di riuso, in particolare incorporando le sue caratteristiche in nuove forme, oggetti, artefatti comunicativi, servizi, strategie, eventi, spazi. Questo processo fà propria la tesi dell’evoluzione della tradizione come material prima per la creatività, piattaforma per l’innovazione e produzione culturale del sistema città-imprese e fattore di identità e riconoscibilità competitiva (community centred design and development).

 


5. Nuove forme di autentico contemporaneo

 

Esempi emblematici di questa capacità di attivarsi in continuità con la tradizione sono:

_la tradizione orientale del paper offerings, carte votive che vengono bruciate per fare un dono ai defunti o per propiziarsi divinità e spiriti in cerca di salute o aiuto (si crede che se trasformate in polvere finissima possano raggiungere l’aldilà), collegata ad un sistema articolato di persone (dai produttori agli utilizzatori), saperi (tecnico-produttivi, legati ai riti e ai modi d’uso degli artefatti) e luoghi (laboratori produttivi, negozi dove si acquistano le offerte votive di carta e templi dove si celebrano i riti) che rendono questo ventaglio di pratiche un patrimonio culturale immateriale diffuso. Essendo una pratica costantemente diffusa a qualsiasi livello sociale e generazione essa ha sviluppato una incredibile capacità di rinnovarsi e attualizzarsi: a partire dalla originaria paper money (ossia cartamoneta) si è passati alla realizzazione di altri oggetti di carta bidimensionali, fino a complessi oggetti tridimensionali realizzati rivestendo di carta una struttura in bamboo, tra i più disparati: dal cibo, ai vestiti agli accessori di lusso ma anche ai più innovativi devices tecnologici e digitali (telefonini, i.phone, laptop, schermi al plasma, ovviamente tutti di carta) in scala reale, fino ad arrivare a modelli in scala 1:1 di autovetture e mobili, che per i praticanti il rito risultano essere doni contemporanei assolutamente legittimi per i propri defunti.

_il progetto Baked di Formafantasma (coppia di designer di Eindhoven), testimonianza della la capacità di tradurre elementi culturali di tipo immateriale legati ad una tradizione festiva in nuovi artefatti materiali. L’ispirazione parte da una tradizione relativa alla festa patronale di Salemi, paese dell’entroterra siciliana, caratterizzata da un rituale di devozione che culmina nella lavorazione della pasta di pane e dalla produzione con essa di elementi decorativi e votivi. Forma Fantasma utilizza come materiale per i nuovi prodotti la pasta di pane innovando invece considerevolmente la forma degli oggetti prodotti, che non sono più decorazioni o elementi votivi ma oggetti e complementi da tavola (ossia recipienti come piatti, bicchieri, tazze, bottiglie).

Tutti questi processi di attivazione richiedono un delicato processo interpretativo di disattivazione dei comportamenti e le possibilità d’uso convenzionali che i beni hanno incorporato a favore di attivazione di nuovi possibili usi. L’interpretazione opera un’azione trasformativa sul concetto e possibile significato del bene, aggiungendo un valore soggettivo percepito, attraverso un processo sostanzialmente ermeneutico e negoziato, in base ad aspettative (un utente), interessi (un’amministrazione o istituzione), cioè parametri valoriali, che si confrontano con il resto delle comunità, i vincoli posti dal bene e dal contesto. Agamben, che definisce separazione «l’impossibilità di usare quelle cose che appartenevano in qualche modo agli dei ed erano quindi sottratte al commercio degli uomini», utilizza la stessa analogia per descrivere il museo come dimensione separata in cui si trasferisce ciò che un tempo era sentito vero e decisivo e vi contrappone invece il concetto di profanazione: «profanare (...) significava restituire al libero uso degli uomini (...) ma l’uso non appare qui come qualcosa di naturale: piuttosto ad esso si accede soltanto attraverso una profanazione (...)». E aggiunge: «La profanazione dell’improfanabile è il compito politico della generazione che viene» (Agamben 2005). Un concetto di “profanazione” e appropriazione consapevole e sostenibile è dunque quello che si auspica i processi di attivazione design driven possano abilitare nell’ambito dei beni culturali.

 

 

 

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* Dipartimento Indaco. Facoltà di Design. Politecnico di Milano.

1. Detto in altri termini, nel passaggio dal bene potenziale alla forma di bene vi è il processo di valorizzazione relativo alla produzione della forma del bene culturale; una produzione di senso avviene nella fase del riconoscimento con il passaggio tra forma di bene e bene esplicito; infine, nella fase di interpretazione, la produzione della funzione rende il bene fruito o attivato.

2. “La parola re design evoca, citazione, ripresa, evocazione di modelli, e spesso significa reimpiego di frammenti o anche imitazione” Granelli 2009.

 

 

 

 

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