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Mario Botta Architetture 1960-2010

 

Mario Pisani

 

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Casa unifamiliare a Riva San Vitale, Svizzera (1971-1973). Foto Alo Zanetta.

 

Perché è così importante l’opera di Botta? Perché ha compreso prima di altri che era giunto il momento “di intraprendere una strada nuova dentro la complessità della società post-industriale”. Per dirlo con Carlo Bertelli, la sua architettura é caratterizzata dalla poetica dell’ascolto, dei luoghi e degli uomini. Una inesauribile disponibilità a recepire il territorio e coloro che lo abitano. Un ascolto che va oltre il fatto autoreferenziale —la casa o la chiesa alla Botta— per recepire e fare propri gli stimoli, le suggestioni, i percorsi che cercano di attribuire sostanza e concretezza all’intuizione progettuale.

L’analisi del luogo dove costruire e quindi trasformare, suggerisce le tracce per la definizione dello spazio interno, il luogo dell’abitare che, in sintonia con le indicazioni filosofiche di Martin Heidegger, rappresenta una condizione connessa a uno specifico habitat geografico, storico e culturale dove l’individuo vive il proprio quotidiano e consolida le tradizioni. Come ha avuto modo di scrivere: “Il mio scopo era progettare una casa in cui i miei amici si sentissero protetti in uno spazio e proiettati, allo stesso tempo, nel paesaggio Il mio scopo era progettare una casa in cui i miei amici si sentissero protetti in uno spazio e proiettati, allo stesso tempo, nel paesaggio”.

L’atto di costruire, fondato sul concetto heideggeriano dell’‘abitare’, deriva dall’esperienza del luogo e si esprime attraverso una nuova ‘realtà architettonica’ intesa come espressione culturale.

Botta non solo è rimasto fedele a una visione dell’architettura che ha le sue radici nel “romanico”, per dirlo con Gillo Dorfles. Anche se ha inserito nelle sue opere alcuni moduli compositivi che si rifanno al “barocco”, come ad esempio nella chiesa di Mogno, ma ha intuito che nel Romanico vi erano valenze espressive ancora non esplorate che attendevano di essere colte e impiegate. Ad iniziare dal pondus perché, a dispetto di chi crede in una architettura leggera e trasparente, non esiste una costruzione che riesca a liberarsi dalla forza di gravità. L’edificio trova la sua più profonda ragione d’essere nel rapporto con il suolo, quando scarica le forze statiche nella terra. Come ricorda spesso, in polemica con l’architettura high tech, l’opera costruita esige il connubio, la presa di possesso della terra-madre con la quale fonda un unicum.

Inoltre la sua opera ha manifestato la capacità di staccarsi dalla tradizione del movimento moderno senza esorcizzare la questione della tradizione ma anche del regionalismo critico e quindi, come afferma lo stesso Botta, oggi “essere moderni (…) significa testimoniare il proprio tempo…” ma come una “rilettura continua del grande passato”.

Nascono così le straordinarie opere dove le aperture, gli intagli, gli incavi e i profili concorrono a delineare una visione plastica con evidenti qualità scultoree. Il mattone e la pietra naturale, solitamente impiegati come materiali per il rivestimento delle facciate mettono in rilievo l’estetica di questa architettura che, attraverso un disegno essenziale interpreta con sagacia gli elementi del repertorio compositivo classico con originalità e spirito innovativo.

Il suo modo di traforare le murature per aprirsi al paesaggio e contemplare il cielo ha dischiuso nuovi percorsi all’architettura del nostro tempo mentre i suoi edifici religiosi rappresentano un nuovo contributo alla tipologia dello spazio sacro.

Realmente, come scrive Diego Peverelli, “sono soprattutto una straordinaria serie di opere d’arte concepite mettendo in pratica i fondamenti e gli strumenti dell’architettura, con il desiderio di realizzare, in un determinato contesto, uno spazio architettonico che ‘con la sua metaforica tensione verso l’eternità’ rappresenti un punto di contatto con il sacro”.

 

 

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Casa unifamiliare a Pregassona, Svizzera (1979-1980). Foto Alo Zanetta.

 

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Casa unifamiliare a Stabio, Svizzera (1980-1981). Foto Alberto Flammer.

 

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Edificio Ransila 1, Lugano, Svizzera (1981-1985). Foto Pino Musi.

 

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Uffici Harting, Minden, Germania (1999-2001). Foto Rainer Hofmann.

 

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Centro benessere Tschuggen Bergoase, Arosa, Svizzera (2003-2006). Foto Urs Homberger.

 

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Cantina Petra, Suvereto (LI), Italia (1999-2003). Foto Pino Musi.

 

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Mediateca, Villeurbanne, Francia (1984-1988). Foto Pino Musi.

 

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Centro Dürrenmatt, Neuchâtel, Svizzera (1992-2000). Foto Pino Musi.

 

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Chiesa di San Giovanni Battista, Mogno, Valle Maggia, Svizzera (1986-1996). Foto Pino Musi.

 

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Cappella di Santa Maria degli Angeli, Monte Tamaro, Svizzera (1990-1996). Foto Enrico Cano.

 

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Chiesa di Santa Maria Nuova, Terranuova Bracciolini (AR), Italia (2005-2010). Foto Enrico Cano.

 

 

 

 

 

 

 

 
 

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